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Immaginate una partita a Shangai. Lasciate cadere il mazzo di bastoncini sul tavolo, poi nel silenzio più assoluto studiate quale prendere per primo, avvicinate la mano lentamente, afferratelo con gesto delicato ma sicuro e sollevatelo con attenzione, fino a che avrete la certezza che nessun altro si è mosso, e appoggiatelo a lato. Fate un respiro profondo e riprendete a guardare il tavolo e a scegliere un altro bastoncino, e così via fino all’ultimo, fino alla soddisfazione di aver dipanato con eleganza la matassa. Ora, immaginate di riprodurre la scena al contrario. Sul tavolo vuoto e nel silenzio della stanza, aggiungete una drum machine minimale, poi appoggiateci sopra un tappeto di synth. Fate scorrere uno slide di chitarra elettrica, incastrateci uno strumming leggero di chitarra acustica. Accostate un arpeggio malinconico e un rullante acustico. Cantateci sopra melodie dolci e trattenute, parole sottovoce di amore, alberi e nuvole, nebbie e luci al neon. Questo è “Punk Music During the Sleep”, il secondo album dei bresciani Edwood passati nel frattempo dalla veneta Fosbury a una coproduzione per le varesine Midfinger e Ghost Records. Un mirabile incastro di sonorità acustiche e delicatezze elettroniche che riesce a mantenere tutte le promesse lasciate dal precedente “Like a Movement”. I territori sono molto simili a quelli di tre anni fa ma la ricerca di ballate evocative – sulla doppia scia dell’indietronica di chiara scuola Notwist e del sound post-psichedelico degli Yuppie Flu periodo “Days Before the Day” – trova in questo nuovo disco la compiutezza sonora e l’ispirazione di scrittura che mancavano nell’album di debutto. E’ musica che non rompe il silenzio, anzi lo crea nella nostra testa dopo solo poche note, alleggerendola di rumori e confusione. Una piccola delusione sono ancora i testi, che inseguono flussi di coscienza in un inglese spesso innaturale, senza veramente riuscire ad evocare qualcosa oltre la fredda somma dei vocaboli stessi. La musica compensa abbondantemente, disegnando luoghi emozionali dove in sonorità ormai definite ma ottimamente declinate possono trovare spazio paesaggi infiniti e personali. Questo disco suonava a ferragosto quando dal finestrino le colline romagnole riverberavano nel sole e gli arpeggi disegnavano i tornanti. Era nelle cuffie quando stormi di uccelli salutavano Milano all’arrivo dei primi freddi, dirigendosi in luoghi migliori dove svernare. E’ ancora nel cuore mentre piove e i viali si riempiono di luci natalizie. Ma questi sono solo i miei ricordi: a voi legarci i vostri, quando premerete play. |
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