DANKO JONES suoneranno al FREQUENCY FESTIVAL 2008
Il Transilvania di Milano che non è più poi tanto Transilvania, con quelle pareti bianche e quelle scritte rosa shocking, non può spaventare o fermare l’esplosiva carica rock’n’roll di Danko Jones che, forte del successo dell’ultimo album “Never Too Loud”, torna a scuotere la città meneghina accompagnato dai connazionali Die Mannequin e dai bresciani The Leeches.
Sono proprio questi ultimi ad aprire le danze e a rivelarsi una gradita sorpresa di un mercoledì sera che non attende altro che Danko Jones, neanche fosse il nuovo messia del rock’n’roll.
Suonano e (si) divertono come fossero dei Turbonegro padani, meno truccati e più terra terra.
Il loro è punk rock un po’ glam che stride e graffia come le strade musicali e non degli anni ’80 e si colora di una grossa dose di genuina follia difficilmente riscontrabile altrove.
Nonostante la breve durata del loro set, riescono nel difficile intento ““ incubo di ogni gruppo spalla che si rispetti ““ di scaldare a dovere il pubblico, raggiungendo l’apoteosi di applausi e ovazioni generali sul finire, quando il cantante soddisfa la platea denundandosi fino a mostrare un fisico che definire “non certo statuario” sarebbe qualcosa di più di un generoso eufemismo.
Salutano tutti inscenando un convincente siparietto che ha come protagonista una spada di plastica, ma dal sincero sapore di hard rock nordico.
Ai Die Mannequin, canadesi come il Danko, manca la genuinità e la sincera e casinara follia dei nostri Leeches.
Sono il classico power trio punk rock apparentemente aggraziato dalla rosea presenza della front-girl Care Failure, cantante e chitarrista che più che a cantare e suonare il proprio strumento, si dedica ad uno show forzato ma dannatamente sculettante.
Suonano cinque pezzi, dei quali non si capisce poi gran che, forse perchè ipnotizzati dalle grazie rock’n’roll sventolate senza mezzi termini dalla carismatica leader, forse perchè non si capisce poi un gran che sul serio.
L’infinita e sfinita coda noise, di cui francamente in pochi sentono il bisogno, serve solo ad introdurre la cosa più sensata pronunciata dalla band durante tutta l’esibizione: Let’s ready for Danko Motherfucker Jones?.
Grazie, eravamo qui per questo.
L’interminabile e canonica attesa di rito sembrerebbe spegnere un po’ gli animi, forse forse ancora un po’ intenti nel riprodurre mentalmente la sexy esibizione di Care Failure.
Il trittico con cui Danko Jones incendia il MusicDrome (“Code of The Road”, “Samuel Sin” e “Play The Blues”), nonostante l’indubbia carica musicale e simbolica (soprattutto per quanto riguarda il secondo storico brano), viene accolto un po’ freddamente dal pubblico che si auto-limita in qualche tiepido applauso di circostanza.
Un po’ spazientito, visto l’incredibile sforzo nel rendere la propria faccia semi-colored un clamoroso teatro di emozioni, il vero leader dell’intera serata si getta in un’introduzione che definire convincente sarebbe ultra-limitante.
“Sticky Situations” si scaglia come un fulmine a ciel sereno sulle teste e i sui cuori dei presenti, incontrollati e incontrollabili attori di un gustoso e doloroso spettacolo degnamente Rock’n’Roll.
D’ora in poi il concerto non sarà più lo stesso.
Il MusicDrome dato simbolicamente alle fiamme accompagna alla perfezione ogni singolo pezzo sciorinato con sincerità ed energia dal trio canadese.
Non passano certo inosservati slabbrati terremoti sonori quali “First Date” o l’inaspettata “Cadillac”, ma nemmeno i nuovi pezzi, forse un po’ più soft ed elaborati, sembrano sfigurare, e anzi, vengono accolti con il giusto calore dal pubblico ormai completamente assuefatto.
Nel mentre, il buon Danko si avventura in complessi monologhi/dialoghi che, ovviamente a modo loro, potrebbero rivestirsi di un carattere perfino sociologico.
Quello che ne esce, oltre ad una buona dose di divertite risate e convinte manifestazioni di vera ammirazione, è un Danko Jones sincero, divertito, onesto, emozionato ed emozionante, capace di costruire un canale di comunicazione con il pubblico ben diverso e distante dalla classica e sola espressione musicale del fucking rock show.
“Forget my name” ed “Invisible” (personalmente il punto più alto dell’intera esibizione, o almeno quello che sferra il definitivo colpo di grazia alle mie corde vocali) conducono direttamente a “The Mountain” che, come di consueto, chiude il concerto con le sincere dichiarazioni di onestà musicale di Danko Jones, uno che sa che per scalare la montagna del rock’n’roll bisogna prima scalare la montagna orizzontale che porta dritti dritti al cuore dei propri fan.
Il bis, se mai ce ne fosse bisogno, serve a confermare pesantemente tale affermazione.
“Way To My Heart” come non la si sentiva da tempo e soprattutto “I’m Alive And On Fire”, come mai si è sentita, arrivano effettivamente nel più profondo dei cuori e risuonano tra i ventricoli anche molto dopo che Danko è disceso tristemente dal palco.
Si direbbe, per noi che siamo romantici, l’immortale magia del rock’n’roll.
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