Come già successo in occasione del precedente “Cafè Jerusalem”, uscito nel 2015, anche stavolta i Radiodervish, storico sodalizio italo-palestinese che fa capo a Nabil Salameh e Michele Lobaccaro (collabora con loro praticamente da sempre Alessandro Pipino), si sono affidati alla piattaforma Musicraiser per realizzare un disco che ne fosse degno seguito. La risposta dei sostenitori non è tardata ad arrivare e così ci ritroviamo tra le mani un album che contiene tutti gli stilemi che hanno reso il marchio assai riconoscibile e soprattutto credibile, se è vero che in 20 anni di carriera i Radiodervish possono essere ritenuti, non a torto, assoluti alfieri di quello sconfinato genere che è la world music.
“Il sangre e il sal” è in tutto e per tutto un concept-album che rispecchia in maniera fedele e sincera quello che sono le istanze più profonde dei loro autori. Da sempre Salameh e Lobaccaro, anche per le rispettive provenienze (palestinese nato in Libano il primo, pugliese il secondo, pur essendo nato a Ventimiglia), sono molto legati al Mediterraneo, e la loro musica ne è stata sin dagli esordi a nome Al Daravish ““ due i dischi all’attivo ““ intrinsecamente legata, per richiami, suggestioni e atmosfere. Un caleidoscopio musicale e non solo che si riflette a maggior ragione in questo ultimo lavoro che sin dal titolo richiama umori e antiche storie (sangre e sal in sabir significa sangue e sale: la lingua Sabir è quella antica, spontanea che si utilizzava nei porti, un miscuglio di italiano, veneziano, spagnolo, francese, arabo, latino e altri dialetti). Un disco che è evoluzione naturale di una fruttuosa collaborazione, iniziata a gennaio 2018, con il regista e attore Pino Petruzzelli, alle prese con un progetto teatrale dedicato al Mediterraneo.
Il Mediterraneo quindi è l’autentico protagonista del disco, ogni traccia ne racconta un aspetto, un tratto. Si parla di individui, non di masse, perchè sin troppo spesso si tende a generalizzare, spersonalizzare come se tutta quelle persone che i tg mostrano e che rimbalzano sui social, fossero un tutt’uno, una massa. Invece sono individui che portano con sè una storia, un mondo interiore.
Il parallelismo con i fatti attuali è lampante in brani come la strumentale, malinconica, pianistica “Porti”, cui segue in scaletta l’ondeggiante e ondivaga “Nuovi schiavi”. Ma non necessariamente ci si deve attenere all’oggi, il Mediterraneo racchiude significati arcaici, maestosi, millenari. I temi del viaggio, del cammino, della nuova speranza, della vita sono quelli che emergono e si mischiano in canzoni placide, profonde come “Oasi”, “Una candela nel buio” o l’iniziale “Itaca”. Oltre alla già citata “Porti” sono presenti altre strumentali come la nervosa, quasi spettrale “Check-Point”, la mistica “Srebrenica” e la più disincantata “Marevino” col suo flauto incalzante. Molto suggestiva è la seconda traccia (“Sirtaki di Kostas”) dal crescendo pianistico e con un commovente violino a far da capolino sul finale.
Le atmosfere rimangono sognanti anche nella doppietta composta da “Alì dagli occhi azzurri”, quella sì una storia di vita e speranza che potremmo riconoscere tra quelle di tanti bambini costretti a folli traversate, e “La Beautè”, picco emozionale dell’intero lavoro con la sua splendida fisarmonica a cullarci dolcemente e le onde del mare sullo sfondo.
Altrove affiorano ritmi tzigani e suoni arabeggianti da sempre presenti nelle canzoni dei Radiodervish, a creare un affresco sonoro ricco e mai banale, suggestivo, intimo e vivace allo stesso tempo. Emblematica di una dimensione aperta, libera e sconfinata della loro musica è la canzone che chiude l’album e che ne dà il titolo: “Il sangre e il sal” infatti recupera nel cantato proprio l’antica lingua sabir che come detto rappresentava la mescolanza di tanti popoli e culture diverse.