La morte di Richard Swift il tre luglio scorso causata dall’epatite C e da problemi ai reni e al fegato dopo anni di alcolismo ha lasciato un piccolo grande vuoto nel mondo della musica indipendente americana. Come capita spesso Swift era più noto per il suo lavoro come produttore al servizio di Damien Jurado, The Shins, David Bazan, Foxygen, Nathaniel Rateliff & The Night Sweats o Lucius più che per una carriera solista lasciata e poi ripresa, in base agli impegni del momento. Multistrumentista curioso e audace, ha anche fatto parte della touring band dei The Black Keys tra il 2014 e il 2015 suonando il basso ed è stato tastierista dei The Shins oltre ad andare in tour con Wilco e Stereolab.

Degli album pubblicati finora da Swift, a suo nome o sotto vari pseudonimi, il più completo è probabilmente “The Atlantic Ocean” (quasi pari merito con “Dressed Up For The Letdown” e “The Novelist / Walking Without Effort”) ma in buona posizione si piazza anche questo “The Hex” uscito postumo. Undici canzoni scritte nel corso degli anni che Swift ha completato pochi mesi prima di morire. Pubblicate dalla Secretly Canadian col consenso dei familiari, per ricordare un musicista talentuoso e tormentato. Può un album contenere tutte le anime di Richard Swift? “The Hex” ci prova, con coraggio.

Non un best of. Neppure un greatest hits. Semplicemente una manciata di parole e note randagie che hanno trovato una casa. C’è il Richard Swift più intenso (“The Hex”) quello avventuroso (lo spoken word di “Kensington!”) quello che fa i conti con se stesso nel doo wop allegro e amaro di “Dirty Jim” e in “Selfishmath”, quello più tagliente e nostalgico che fa capolino in “Sept. 20” e nelle canzoni dedicate ad alcune donne della sua vita (la madre “Wendy”, “Nancy”, “Sister Song”). Quando si mette al microfono Swift può passare con naturalezza dal tono malinconico e disperato à  la Eliott Smith al falsetto à  la Prince a un timbro giocoso vicino a Lee Hazelwood (a cui è dedicato lo strumentale “HZLWD”).

Non doveva essere questo l’ultimo album di Richard Swift, ma è un buon modo per salutare un produttore e musicista che a volte era anche regista di cortometraggi. Un artista a tutto tondo che mancherà  a molti. Il necrologio perfetto l’ha scritto proprio lui in una canzone di qualche anno fa che si chiamava “R.I.P”: “Save your prayers, I’m an unbeliever / And I don’t fall apart easily“.

Credit Foto: Rachel Demy