Perfino i bus qui hanno due piani. Solo io. Non ne ho neppure uno.
Credetemi se dico che c’è sempre troppo casino, a Tottenham Court Road. Otto miliardi di persone mentre annego sui marciapiedi strapieni, con in fondo alla testa delle cose ancora tutte mie.

Io, non sono capace con i piani, ma ho delle missioni al limite. Certo che c’è la differenza: il piano sai sempre come inizia e come procede, è roba fatta a tavolino, costruita. La missione è un’altra storia, è ineluttabile e se ne fotte se non c’è un piano. Della missione sai solo dove finisce. Per questo non ti perdi nelle stronzate di mezzo.
Esatto. I Verdena per esempio sarebbero una missione.

E fà  un caldo bestia, ho dribblato abilmente (e si che non gioco manco a pallone…apprezzate dai…) due band supporter o qualcosa del genere. Sono appena a mezza guinness, che tanto non si sudava già  abbastanza ma voglio dire…almeno così sudi per un buon motivo, ed ecco che arrivano sul palco. In formato condominiale, locale piccolo volume grande, figata.
Il buio è qui, si abbassano le luci. Senza tanti complimenti ci rovesciano subito addosso una “Don Callisto”, basso e batteria afferrano alla gola. E la chitarra stringe. Effetto marea sul pubblico. Un misto di naufraghi italiani e britannici. Il vecchio Just è il capitano e se ne stà  piantanto davanti al palco in tempesta come avesse una gamba di legno. Yes, chiamatemi Ismaele. Lasciatemi gasare è il rock cazzo!
Difficile sentir suonare un trio basso-chitarra-batteria più coeso di questi tempi. Gli arrangiamenti dei Verdena sono come una sceneggiatura di Hitchock, non ci puoi nè togliere nè aggiungere un capello. Serrato, non dico perfetto perchè nel rock poi è sinonimo di noioso.
Nella quantità  londinese di concertini garage, electro, neo-folk, indie-boh, può finire che te lo scordi come funziona un cosiddetto concerto rock. Qualcuno forse si sveglierà  dal torpore, magari inizia pure a comprarsi un paio di scarpe. Decenti dico.

Granitico anche dal vivo il suono dei Verdena fà  paura. Detona, “Isacco Nucleare”. Se si trovasse un modo, di incanalare quell’energia cinetica di Luca alla batteria, li mandiamo a fare tutti in culo questi delle centrali nucleari. La risolve lui, la cazzo di crisi energetica.
Riconfermo tutto quello che avevo detto nella recensione di “Requiem”, cambi di tempo, intuizioni geniali del cantato sulle metriche. Ma su quello a dirla tutta Alberto è sempre stato un marziano, anche a scapito della scrittura negli esordi. Ma aveva già  le idee chiare di cosa stava facendo. Missione.
Dicono pure che Alberto Ferrari sia un perfezionista, un rompicoglioni eventualmente. Bene, allora dite anche che non ci sono decine di band che suonano così. E no, non ho dimenticato, di dire “in Italia”.

Prendo il Gulliver o meglio Il Gulliver prende me (mi astengo dal pogo solo per rispetto dei giovini): è l’archetipo del rock sinfonico del nuovo millennio, un ibrido mostriciattolo di 12 minuti, tra rock sinfonico legato alla tradizione prog 70ies e l’irruenza diretta del grunge degli anni ’90.
Canos esce fuori più nervosa del previsto con la chitarra elettrica invece dell’acustica, eppure ancora irradia. Forse il pezzo più malinconicamente luminoso mai scritto da Alberto & compagnia, e soprattutto prova definitiva di una nuova capacità  di trascendere il suono stesso che è un po la spina dorsale della loro discografia. Aldilà  del valore del brano in sè, lo terrei d’occhio come sintomo di quanto ancora possono fare e andare.
“Muori Delay” è pogo e sudore. E nel mezzo c’è anche tempo per un Ovunque a rivalutare la presunta immaturità  degli esordi, Elefante fila tiratissima e riempie l’aria di bassi che le pareti del locale sembrano comprimersi e via fino alla chiusura con l’unico pezzo che forse riesce a fare più casino di “Elefante” ovvero “Was?.” Alberto fà  un mezzo sorriso e sfila la chitarra, la batteria gli chiede pietà  e Luca si alza, Roberta dice grazie e via. Musica e basta, poche cazzate e niente pose.

Piove e l’autobus avanza a scatti con quel modo di guidare merdoso di tutti gli autisti londinesi. Fuori dei vetri le luci si smontano, e fanno cose strane al mondo.

Topi blu, ballano.
Sull’oceano.
Nulla.
E’ più vero.

Link:
Verdena Official Site
Verdena MySpace

Video From The Nite:
Muori Delay

Ovunque

VERDENA su IndieForBunnies:

Recensione “REQUIEM”